15/11/15

Alla manifestazione TDA delle 19.00, pro-Francia, proprio non andrò. Meglio MARIO CALABRESI. Lui si, che sa ciò che dice. E vuole " ARIA ", " OSSIGENO ".

Il post che ho scritto ieri,

Oggi, con le bandiere francesi e i nastrini a lutto, mi ci pulirei volentieri il sedere. E anche con le veglie di preghiera proposte dalla CEI ( a cui proprio non andrò..) e le manifestazioni pubbliche di solidarietà del PD, e altre ancora. "


 poi usato anche come commento in alcuni dibattiti " mediatici ", o personali, ha avuto qualche reazione sia di comprensione, che di sdegno, per i toni usati.

Capita. A me poi capita spesso... Però oggi lo stimatissimo Mario Calabresi, che ha uno spessore assai diverso dal mio, ha espresso il pensiero in modo idoneo. E oltretutto, se non ha esperienza personale in merito al terrorismo, LUI, beh....

Io non andrò a manifestazioni perché oggi per combattere e manifestare solidarietà, vivrò la Domenica come sempre. Oggi poi, ho un mezzo blocco intestinale, e attendo che il lassativo faccia effetto. E' quotidianità. Niente da dire a chi manifesta ecc. Ma proprio ci tengo a far conoscere il mio punto di vista. Ai terroristi da soddisfazione, secondo me, vedere le manifestazioni di solidarietà. Un po' come i bulli quando cercano le attenzioni. Meglio una preghiera personale. 

Davide Boldrin

Ci hanno tolto l’aria. Ma ora riprendiamoci la nostra vita


MARIO CALABRESI ( n.d.r.: Al fiòl d'la Gemma. )
Hanno cominciato a toglierci l'ossigeno 14 anni fa, in una mattina di sole di fine estate, quando quattro aerei sequestrati da piloti kamikaze decretarono la fine del nostro modo di viaggiare. Mai più spensieratezza, ma un crescendo di lunghe code, di scarpe e cinture levate, di computer tirati fuori dalle borse e di profumi, schiume da barba e bottigliette d’acqua sequestrate e buttate.  
Per continuare a vivere o forse solo per regalarci un’illusione abbiamo sempre rimosso i morti, il dolore e le vittime, così il simbolo dell’11 settembre è stato rappresentato per anni dai mucchi di accendini e di tagliaunghie recuperati nelle borse di distratti passeggeri e ritirati con sguardi severi dagli addetti alla sicurezza degli aeroporti di tutto il mondo. Che la nostra preoccupazione prima di partire non dovesse più essere la meta, l’albergo, la vacanza, l’appuntamento di lavoro ma una serie di insignificanti dettagli mi è sempre sembrato il grande sintomo della capacità del terrorismo di cambiare le nostre vite. 
Poi ci hanno tolto, mese dopo mese, una città, una nazione, una destinazione turistica dalla carta geografica, rendendola mutilata e parziale. Prima ci sono state rinunce esotiche, il Pakistan, la Via della Seta, lo Yemen, poi hanno cominciato a scomparire il Sinai, il Kenya e il suo mare, la Tunisia, il deserto del Sahara, il mercato di Aleppo, le rovine di Palmira, la Giordania, intere porzioni d'Africa. Siamo arretrati, sempre più chiusi nel cortile di casa, e anche nel nostro condominio ci sono stati periodi in cui pensare di prendere la metro a Londra o Parigi era motivo d’inquietudine, qualcosa da evitare se possibile. 
Aerei, metropolitane, treni, adesso i bar, le terrazze, i concerti e lo stadio. L’ossigeno continua a diminuire, l’atmosfera si fa soffocante, ma in questi anni abbiamo continuato ad abituarci, abbiamo accettato di respirare con un solo polmone e raramente abbiamo alzato la voce. 
Abbiamo cominciato a sospettare di ogni borsa lasciata incustodita o semplicemente dimenticata, abbiamo scrutato i vicini di posto sul volo delle vacanze, abbiamo temuto che in ogni gruppo di profughi o migranti si nascondesse un terrorista e abbiamo accettato passivamente di autoridurci la libertà. Quanti, in silenzio e senza dare troppa pubblicità alle loro paure, non sono andati a visitare la Sindone, Expo, il Museo Egizio o hanno rinunciato a correre una maratona o a seguire una messa del Papa. E quanti adesso si siederanno al tavolo della cucina per valutare se andare ancora alla partita, se portarci i bambini, se andare ad un concerto e ancora su quale possa essere la migliore via di fuga di ogni luogo e in ogni momento. Ma quando smetti di essere rapito da una rovesciata o di cantare a squarciagola una canzone perché sei preoccupato e ti guardi in giro cercando rassicurazioni, allora è davvero finita. 
A quel punto ti devi alzare e ricordarti che non sei solo, che vivi in un Continente di 750 milioni di persone, che se ti chiudi in casa sei finito. Che se il tuo Paese si chiude in casa è finito. Ti devi alzare e uscire, non rinunciare ma continuare a vivere, devi tenere accese le luci e non accettare che vengano spente. Devi pretendere che la nazione in cui vivi non si isoli nell’illusione di potersi salvare da sola, ma collabori con tutte quelle con cui condivide cultura e valori per dare vita a reti di controlli, intelligence e scambio di informazioni. Devi continuare ad avere pazienza per i controlli che dovrai subire, ma con il diritto di dire la tua quando appaiono stupidi, burocratici o inutili. 
Devi, anzi, dobbiamo avere il coraggio di amare i nostri valori, le nostre conquiste e le nostre tradizioni, non relativizzando e sbiadendo ogni cosa per un falso rispetto degli altri; dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, denunciando l’estremismo, il fanatismo e la follia religiosa; dobbiamo avere la capacità e la lucidità di distinguere tra chi è pericoloso e chi è in pericolo e dobbiamo avere la forza di includere e dialogare. 
Ma soprattutto dobbiamo avere memoria: in un tempo in cui abbiamo paura di tutto, in cui ci sentiamo deboli e spaventati perché non abbiamo la sicurezza di un futuro di benessere, potrebbe aiutarci ricordare che abbiamo sconfitto il nazismo e a casa nostra anche il terrorismo e che senza piegarci abbiamo ricominciato a vivere.

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