E qui le " mie " ragioni: ww.vita.it/it/article/2016/03/18/la-geologa-che-si-schiera-con-le-trivelle/138708/
Ha fatto molto scalpore sui social il post, sulla propria pagina Facebook, della giovane geologa Michela Costa che spiega «i motivi per cui non andare a votare nella speranza che non venga raggiunto il quorum, che mi sembra la soluzione “più sostenibile”». Ecco gli otto motivi per votare No
Ho
letto tutti i vostri post sulle trivelle. Ho guardato tutte le
sfilate delle immagini più o meno toccanti e più o meno simpatiche
(l’ultima delle quali, “trivella
tua sorella”,
oltre che essere sfacciatamente maschilista, è stata proprio un epic
fail, complimenti agli ideatori!). Immaginavo già che alcuni dei più
famosi brand italiani arrivassero anche ad approfittare del momento
caldo per le proprie campagne pubblicitarie (ed ecco infatti che “le
uniche trivelle che ci piacciono” hanno per protagonisti un fusillo
di pasta che si tuffa nel ragù e un cavatappi che affonda nel
sughero di un nero d’avola). Mi rendo conto di quanto possa essere
abbastanza facile restare impressionati da una campagna di Greenpeace
che ci fa vedere le immagini del povero gabbiano tutto sudicio di
petrolio che tenta disperatamente di aprire le ali. Ci vengono le
lacrime agli occhi, vero? Ma siccome sono chiamata a dare un voto e
mi piace pensare e agire con la mia testa, ho deciso di prendermi del
tempo per informarmi e andare
oltre e
immagini e le informazioni che fonti “orientate” ci propinano in
rete, soprattutto in materia ambientale, visto il tipico vizio che
hanno certe campagne ambientaliste di puntare i piedi e otturare le
orecchie. E
quello che ho trovato in rete mi ha molto stupita. Sono partita da un
paio di articoli (Il
Post e Le
Scienze)
per poi approfondire saltellando da link a link fino a farmi un’idea
mia che, per necessità di chiarezza, sento il bisogno di
condividere.
Premetto
che ho molto a cuore l’ambiente ma rifiuto la definizione di
ambientalista (parola che come “fondamentalista” e “integralista”
denota un estremismo spesso privo di qualsiasi tipo di raziocinio). E
no, non sono un geologo che lavora in piattaforma, sono un geologo
disoccupato che manco ci pensa ad andare a lavorare in piattaforma,
per carità. E non ho nessuno in famiglia che lavora alla Eni.
Insomma nessun interesse personale nelle mie opinioni.
Lasciando
stare le motivazioni occupazionali (in
caso di vittoria del SI, circa settemila lavoratori impiegati nel
settore perderebbero il posto di lavoro, motivo per cui diversi
sindacati si sono schierati a favore del NO) e
le motivazioni economiche (dismettere
gli impianti prima del tempo significa chiaramente un costo enorme
per le spese di ammortamento, perché vuol dire non usare
quell’impianto per l’intera vita operativa per cui era stato
progettato)voglio
discutere di seguito i motivi per cui non andare a votare nella
speranza che non venga raggiunto il quorum, mi sembra la soluzione
“più sostenibile”:
1) Lo
stop che prevede il referendum riguarda più il gas metano che il
petrolio. In Italia il petrolio, l’oggetto più demonizzato dalle
campagne “No-Triv”, viene estratto per la maggior parte a terra e
non in mare. Gli impianti che saranno oggetto del referendum
estraggono fondamentalmente metano, che sebbene fossile, è una fonte
di gran lunga meno dannosa del petrolio e ancora per molti versi
insostituibile (attualmente il 54% dell’offerta energetica
mondiale). In questa pagina
del sito dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le
Georisorse, vi è l’elenco completo delle piattaforme oggetto del
referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia), la profondità
del fondale (dato spesso sottovalutato, ma molto importante) e il
tipo di combustibile estratto. Nonostante Greenpeace si faccia
portavoce di immagini con ragazzi in costume da bagno ricoperti di
catrame e poveri pennuti starnazzanti nel petrolio, scorrere
velocemente l’elenco degli impianti farà capire brevemente come la
percentuale di impianti a GAS sia in netta maggioranza rispetto a
quelli a OLIO. Questo si traduce con una sola frase: Siamo
disinformati e pronti ad abboccare a qualsiasi cosa, basta che sia
green.
2) la
vittoria del SI porterà comunque alla costruzione di altri impianti.
La costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata per legge
dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06) e su questo
possiamo stare sereni. La vittoria del SI non potrà, però, impedire
alle compagnie di spostarsi e costruire nuovi impianti poco oltre
questo limite. Praticamente con il SI quello che vogliamo dire alle
compagnie e: << Sentite, anche se avete ancora un botto di gas
da estrarre in questo giacimento, chiudete tutti i rubinetti e
spostatevi più lontano oppure andatevene in un altro paese >>.
Si, significa questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia allora
potrà scegliere se non cambiare stessa spiaggia stesso mare,
dismettere l’impianto entro le 12 miglia e farne, per esempio, uno
nuovo a 12,5 miglia (li dove nessuno potrà lamentarsi di nulla)
oppure andare a cercare giacimenti altrove, sulla terraferma o in
altri paesi. Ma inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e
altri saranno potenziati, per sopperire al fabbisogno energetico. Se
vietiamo l’utilizzo degli impianti esistenti, da qualche altra
parte questo gas dovremo andarlo a prendere, no?
3) La
vittoria del SI non scongiura un rischio ambientale, anzi,
contribuisce ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche
l’inquinamento. Ora, immaginiamoci un disastro ambientale, un grave
incidente a una piattaforma petrolifera posizionata “correttamente”
e cioè oltre il limite delle 12 miglia. Pensate davvero che un
miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano fare la differenza?
Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di Greenpeace o
panda del WWF potrà correre avanti e indietro e fare da barricata
all’avanzare del petrolio verso le coste. In più lo stop delle
piattaforme esistenti si tradurrebbe in un maggiore traffico di
petroliere che vanno a spasso per i nostri mari per portarci i
combustibili che noi abbiamo deciso di non estrarre più ma di cui
avremo ancora bisogno. Petroliere alimentate a petrolio, che
trasportano petrolio e che possono esplodere o essere soggette a
perdite e sversamenti. Senza dimenticarci che, sempre in Adriatico,
anche la Croazia e la Grecia trivellano e, in futuro, potrebbero
attingere ai giacimenti che l’Italia abbandonerà in caso di
vittoria del SI. Insomma, a livello di rischio ambientale non cambia
proprio nulla.
4) La
vittoria del SI non si traduce in una politica immediata a favore
delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono
ancora bastare. Cosa vi aspettate, che all’indomani della
cessazione delle attività nelle piattaforme, l’Italia magicamente
si sosterrà solo con le rinnovabili? Siamo d’accordo che
l’utilizzo dei combustibili fossili non sia una pratica
sostenibile. Ma appunto per questo bisognerebbe puntare non alla
costruzione di altri impianti, bensì allo sfruttamento residuo di
quelli già esistenti che devono fare da supporto alle energie
rinnovabili sempre più in crescita ma non ancora autonome. In un
futuro (credo ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo
esclusivo di energie rinnovabili ma ciò deve essere fatto un passo
alla volta, con la consapevolezza che un periodo di “transizione”
è fisiologico e l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del
gas, ci dovrà accompagnare in questo passaggio. In poche parole, se
togliamo il gas e il petrolio dobbiamo essere in grado di sostenere
subito “la baracca” in un altro modo altrettanto efficiente. Le
stesse Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e
WWF hanno
detto:
“quello che serve per difendere una volta per tutte i nostri mari è
il rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora
pendenti nell'area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una
moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra,
sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto
alla protezione del clima e rispettoso dei territori e dei mari
italiani”. Ok, siamo d’accordo, ma nel frattempo che definiamo il
Piano energetico, l’Italia come vivrà?
5) Il
referendum è illegittimo, fa leva sulla disinformazione dei
cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha
nell’immaginario comune. Non è un referendum lo strumento più
adatto per risolvere un tema così complesso e così tecnico. O
meglio, potrebbe esserlo se fossimo tutti degli esperti di
coltivazione d’idrocarburi, ma non lo siamo. Trivellare non vuol
dire necessariamente essere contro le politiche green, anzi, la
normativa di settore è piuttosto severa e restrittiva nei confronti
delle concessioni e degli adempimenti a cui le compagnie devono
prestare attenzione.
6) Non
è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo...
Se così fosse, il litorale romagnolo (dove ci sono il maggior numero
di impianti) non registrerebbe ogni stagione i flussi turistici che
sono invece ben noti. Così anche la Basilicata. In poche parole il
turista da peso ad altre cose, e non alla presenza delle piattaforme.
7) ...e
non è vero neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo
può innescare terremoti come quello avvenuto anni fa in Emilia.
Questa è un’argomentazione piuttosto tecnica di cui non auguro la
lettura integrale nemmeno al mio peggior nemico, ma se volete trovate
le conclusioni del rapporto a pagina 56 e successive di questo
documento.
8) La
vittoria del SI contribuirà allo sfruttamento dei paesi in via di
sviluppo. Dal momento che nel giro di qualche anno verranno dismesse
le nostre piattaforme e che il passaggio verso le rinnovabili è
ancora qualcosa di molto lento, la vita continua e noi dovremo pur
accendere i fornelli di casa e per farlo ci servirà ancora del
metano. Metano che le compagnie si dovranno andare a cercare da
qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa
è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il
nucleare). E noi lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro
ma con la coscienza più pulita perché siamo ambientalisti e abbiamo
detto che il nostro mare “non si spirtusa”. Il nostro mare,
appunto. Per fortuna arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato
Eni che, a braccetto di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava
soddisfatto:
«In Mozambico l’Eni ha fatto la più importante scoperta di gas
della sua storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che
consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per
trent'anni». Inutile dire quanto poco gliene possa fregare del gas
agli abitanti del Mozambico, loro che non hanno né fornelli né
automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e petrolio e loro si
prendono solo gli eventuali rischi più qualche spicciolo che andrà
nelle casse del governo locale. Molto comodo essere ambientalisti
così, no?
Io
sinceramente non mi sentirei a posto con la coscienza a votare SI e
poi accendere i fornelli con il gas che viene non dall’Adriatico (no
per carità, il nostro mare va tutelato) ma
dal Mozambico che
accoglie le compagnie petrolifere che noi abbiamo cacciato,
accollandosi il rischio ambientale perché ha solo gli occhi per
piangere e nessun potere contrattuale per dire “no, noi le vostre
trivelle qui non le vogliamo”.
Quindi
mi auguro semplicemente che chi deciderà di votare SI abbia un
comportamento ineccepibile dal punto di vista energetico. Questo non
significa solo fare la differenziata e andare in bicicletta.
Significa essere pronti, per coerenza personale, a rinunciare
all’indomani del referendum a qualsiasi forma di utilizzo dei
combustibili fossili. Significa non possedere né auto né moto che
non siano elettriche; significa non viaggiare né in aereo né in
nave; significa avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili,
con stufe a pellet o i raggi infrarossi; significa non comprare
tantissimi prodotti che fanno parte della nostra vita quotidiana e
per la produzione dei quali vengono usati combustibili fossili.
Insomma, significa essere degli integralisti energetici, avere uno
stile di vita molto più che green. Ma quanti, tra quelli che
voteranno SI hanno una condotta del genere?
LA signorina Costa, per capirla si possono semplicemente leggere le prime e le ultime righe, in cui nelle prime non vuole essere definita ambientalista, in quanto si sarebbe troppo estremisti, infine spiega (secondo il suo concetto) cosa dovrebbe fare una persona dopo che ha votato SÌ!
RispondiEliminaSe,fossi d'accordo con lei sul numero dei posti di lavoro che si andrebbero a perdere, da domani, sempre, secondo il suo pensiero, chi si astiene dal voto o chi va andra a votare NO, dovrebbe andare in giro a rompere tutti i computer...sai quanto lavoro hanno rubato?
Per quanto riguarda l'inutilità del SÌ, potrei condividere il suo limite, ma sicuramente a stare a casa o votare no, si incentiva l'esatto contrario, e non la sensibilità ad un mondo energeticamente più pulito!
Per quanto riguarda l'esempio sul turismo in riviera romagnola, che non viene fermato per la presenza delle piattaforme, oserei dire che Riccione, Rimini,....sono proprio famosi per il mare.....
Poi ne avrei tante altre da dire...se altri parteciperanno alla discussione, continuerò!
ANDATE A VOTARE CODARDI