19/07/14

Dedicato a Franco Bizzoccoli. Che ora probabilmente, è a contatto diretto con la sua amata anarchia...

Ci sono uomini veri. E omuncoli. Franco Bizzoccoli, è stato uno di quelli veri. Lo conoscevo “ di fama “ anni fa. Mi stava anche un “ po' su”. Pensavo : “l'anarchico, ma chi si crede di essere, quello ? “. Fino a quella volta in cui ci fu in incontro pubblico a Carpi, tra lui e Aldo Brandirali. E li vidi in verità quello che era. Un uomo vero. Attento. Aldilà delle credenze. Poi imparai a conoscerlo. Un altro uomo vero, simile, ma l'opposto in fatto di credenze ad esempio, è Don Ivo Silingardi. Opposti ma uguali. Non riesco a spiegare la cosa scrivendo. Queste sono cose umane, carnali. Divine.

Qui l'articolo su VOCE ( www.voce.it ) di questa settimana, di Mauro D'Orazi.

In fondo al post, la mia dedica, ad un altro uomo vero, che ora, avrà capito cosa cercava.


Davide Boldrin

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di Mauro D’Orazi 

Non era uomo di scritture, Franco Bizzoccoli, ma uno straordinario narratore, capace di riassumere in un soprannome, in un aneddoto o in una definizione, sempre rigorosamente dialettali, un’intera esistenza, un personaggio, un capitolo di storia cittadina. E’ per questo che difficilmente si troveranno tracce autografe dei suoi racconti, ma solo testimonianze orali messe per iscritto da qualcun altro.
Fra gli spunti preferiti delle sue narrazioni c’erano le figure tipiche di Carpi, quelle che avevano scelto la marginalità, e proprio per questo rappresentative di modi di essere e di vivere spontaneamente alternativi che attraevano Franco Bizzoccoli, ne stimolavano l’indole “arrovesciata” (in gergo, da arvèrs), gli facevano ammirare tutta la carica di umanità, perduta invece dalla città indaffarata.
Ne una, di queste testimonianze di Bizzoccoli. E’ dedicata alla più famosa figura di vagabondo che si sia mai impressa nella memoria cittadina, quella di Mesanòot, al secolo Onesto Lazzaretti. L’ha raccolta Mauro D’Orazi per un suo lavoro con un titolo – “Gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro” – che è una citazione da Fabrizio De Andrè e dal quale provengono anche le immagini del servizio. Le frasi dialettali riportate in neretto sono la più diretta testimonianza dell’incedere narrativo di Franco Bizzoccoli (f.m.).
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«Onesto Lazzaretti – racconta Franco Bizzoccoli –, l’uomo sorridente col fiore sul cappello, era un vagabondo, ma non ha mai steso la mano o elemosinato per chiedere la carità, non si è mai umiliato a chi aveva di fronte; così come lui hanno vissuto del loro, pur gramo lavoro Piccinini (il raccoglitore di cartone), la Mariina Trintèina con suo banco ambulante, l’Amaalia di scatlòot (Amalia Bulgarelli degli scatolotti) o la Corinna èd Bòun (di Boni, sorella del fotografo Severino Boni) che si dedicavano alla raccolta di roba vecchia, stracci e a piccoli piccolissimi commerci.
Descrivere queste persone con svilimento, cattiveria o superiorità è stato lo stolto vezzo di alcuni carpigiani mediocri che, nella loro ansia di emergere dal grigiore delle loro piatte e spente esistenze, si divertivano in malafede a considerare queste persone delle macchiette da deridere con compiaciuto disprezzo. È’ un’abitudine del volgo, dell’ignorante, del cretino, dell’illetterato, dell’invidioso che porta a caratterizzare chi è “diverso” o in modo ridicolo o negativo. La gavetta di Mezzanotte non era un cappello o una ciotola dell’elemosina; quella gamella gli serviva per andare alla cucina popolare per ricevere la minestra. Era l’Eca, l’Ente Comunale di Assistenza, che forniva questo servizio ed era gestito da Amelio Turchi (detto Turcìin), con Contardo Ferrari che governava la cucina. I cuochi erano due: Berto e al pèeder èd Romanciina. Mesanòot era uno spettatore coprotagonista passivo, ma attento osservatore della società cittadina in cui lui stesso era costretto a vivere. Ma non era il mendicante e tanto meno il clochard parigino: era un vagabondo. Gli piaceva il vino, ma a nn éera mìa ’n imberiagòos, ma non era un ubriacone. Non era né ridicolo, né negativo; non apparteneva a queste due categorie. Era un “angelo” che passeggiava leggero fra la folla. Non chiedeva niente, non ha mai chiesto niente. Quàand a gh éera di cretèin che con spregio dicevano: “Óo Meanòot …” con il solo scopo di prenderlo in giro, tentando di umiliarlo, lui si limitava a rispondere dolcemente con un ineffabile sorriso. Mesanòot te n l èe màai visst andèer in biciclètta o muntèer in simma a un baròos o a cavàal; l à sèmmper girèe istèe e invèeren… a pée. Non lo si è mai visto andare in bicicletta o montare su un biroccio o a cavallo, era sempre a piedi. D’estate con una giacchetta liia e d’inverno cun un tabàar che gli aveva regalato l’avvocato Germano Tunèel (De Pietri Tonelli, repubblicano e anarchico, ndr), figlio del fondatore del Ricovero del Viandante. Il suo percorso era: la Casa del Viandante in Cantaràana, al zóogh dal balòun (piazzale Re Astolfo) dove c’era la cucina popolare, i giardini comunali con l’incontro con i piccioni, la casa dell’avvocato De Pietri Tonelli.
L’avvocato, vedendolo, allora gli domandava: “Onèesto cum andòmmia?” E gli stringeva la mano. Poi facevano i lavori di giardinaggio insieme. Mentre Tonelli studiava o lavorava, Mesanòot svolgeva qualche lavoretto di pulizia o piccola manutenzione, ma mai dietro ordine, solo per sua volontà.
Il fondatore Tonelli aveva anche disposto una precisa clausola con la quale si disponeva che il Ricovero del Viandante dovesse essere tenuto in funzione, finché ci fosse stato un ospite e quindi finché il Lazzaretti fosse stato vivo.
Con percorsi non troppo chiari, negli anni Sessanta fu invece di fatto soppresso assieme alla Casa del Povero di Galasso Bezzecchi e unito ad altre Opere Pie; l’edificio fu venduto a una persona di comodo. Così Mezzanotte dovette trasferirsi al Ricovero Tenente Marchi, che allora aveva sede nel padiglione dietro l’Ospedale, a ovest.
Lì godeva di ospitalità, ma con piena libertà di entrare e uscire dalla struttura. Meanòot al degniiva dal Vrée, veniva da Rovereto, luogo natale della moglie, ma era originario di Soliera, aveva abitato Cavezzo e nella syessa Rovereto località da dove veniva anche al maat Panèin (il matto Panini), che stava in Bevdéer (via Cesare Battisti) e che una volta murò la porta di casa del fratello per dissidi familiari. Rimasto vedovo, per un certo periodo si accompagnò a Carpi con un’altra donna; non era un’unione di sesso, ma di affetto, di calore umano, di condivisione dell’indigenza; insomma tutto un discorso particolare che sèert sumèer èd Chèerp (certi somari di Carpi), che ironizzavano malamente su questi personaggi, non possono certo capire e non capiranno mai. Convisse dunque in Cantaraana con una signora che aveva già un figlio, che fu mio compagno di scuola di Bizzoccoli alla fine degli anni Trenta. Questi personaggi avevano poi dei luoghi franchi, dei portoni particolari, allora sempre aperti, in cui si potevano sedere e appartare: la casa del cinema Fanti in via Mazzini, dove stava mia madre e tutte le case di corso Alberto Pio che davano anche su via Rovighi, cioè le case degli ebrei. Lì si poteva incontrare quest’umanità marginale che cercava un minùut èd rèechie (un minuto di pausa). Come ‘Na vciina cun i cavìi biàanch, la Magheritèina che usava domandare l’elemosina con la frase: pèr ‘na pastlèina pèr la mé Armandèina, ch la stà mèel da murìir a l uspidèel!”(per una pastina per la mia Armandina che sta male da morire all’ospedale). Piccinini invece frugava e mangiava le verdure buttate via di scarto; a tale proposito Plicio Pelliciari annunciava: il ristorante è aperto e aveva Piccinini sotto casa ch al magnèeva in mèes al russch (che mangiava quello che trovava in mezzo agli scarti del pattume). Ma anche Piccinini non ha mai domandato niente, non ha mai elemosinato!
Anche la Mariina Trintèina col suo banchino su ruote, o l’Amaalia di scatlòot ch l andèeva a véeder (andava a vetri), o la Corinna èd Bòun che, col suo perenne cappello di paglia in testa, andava a stracci.
Questo perché facevano delle attività particolari, che consentivano loro di vivere, pur nella povertà.
Meanòot a nn è nisùun, la Marina Trintèina, cla puòosa, l’Amaalia di scatlòot cla sèmma… Erano tutte frasi per irridere superficialmente e stupidamente queste persone ed esprimevano il meschino compiacimento del povero nel vedere un altro povero, messo peggio di lui. Si distorceva la realtà – conclude Bizzoccoli – per pura e inutile cattiveria»


FRANCO BIZZOCCOLI



La dedica, a Franco Bizzoccoli. Non era forse un po' così ? : http://youtu.be/oza1gvGntLE

Ma non credo abbia perso. Bisognerà che scrivo a Papa Francesco, facendogli notare che " la bandiera dei poveri ", non è esatto che ce l'hanno rubata " i comunisti ". Forse siam noi cattolici che l'abbiamo messa nel cassetto ....

Davide Boldrin


3 commenti:

  1. come ha fatto a sfuggirmi questo articolo !!??? Grazie, sono la figlia di Franco ed é stata una piacevolissima sorpresa...

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    1. Mi fa piacere 😊. Davide Boldrin.

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    2. E se cerca nel blog " Don Ivo ", forse avra' un'altra piacevole sorpresa. DB.

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