Ecco
( http://www.carpi.chiesacattolica.it
) :
“Va
detto che monsignor Cavina ha affrontato questi disagi con grande
spirito di adattamento: proviamo a immaginare cosa significa avere
gli uffici di Curia sparsi un po' ovunque, non avere una sede se non
provvisoria, abitare in una casa che ti è stata messa cortesemente a
disposizione ma che comunque non è la tua. Il Vescovo non ha mai
chiesto nulla – prosegue l'editoriale – ma le istituzioni
dovrebbero cominciare a pensare che un Vescovo senza casa per tanto
tempo non è un problema personale, ma di tutta la collettività. E
dovrebbero farsene carico. Perché cinque sistemazioni diverse in tre
anni sono davvero troppe. Per chiunque”.
Personalmente
credo che in un contesto di “
normalità”
una osservazione del genere potrebbe essere sensata. Il punto è che
parliamo di una diocesi terremotata. Evidentemente chi ha scritto
quelle righe li, non ha piena coscienza e avvertenza della
mortificazione che possa provare chi ha perso la casa in bassa
modenese. Chi vive nei MAP, chi attende da tre anni di poter tornare
a casa, di chi a casa non ci vuol tornare più ecc. Ecc. È una
totale mancanza di sensibilità a largo raggio.
Ora,
la “ boldrinata “: Probabile anche che chi ha scritto
quell'editoriale li, non faccia i conti, che l'Emilia, è sempre
l'Emilia...: https://youtu.be/9fHSrotKbY4
Davide
Boldrin
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