31/07/12

Qualche testimonianza sul terremoto. La vita va avanti. Cambia tutto, ma va avanti. Fino alla morte, ci si arriva vivi...

Fonte: http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/il-fututo-di-wendi-ricomincia-dal-violino.aspx


Il futuro di Wendy ricomincia dal violino
​Nella ricostruzione dell’Emilia terremotata il violino è una priorità? Nessuna persona di buon senso lo sottoscriverebbe. Eppure Wendy, una ragazza della Bassa modenese di 13 anni, alla domanda su quale fosse il suo desiderio più grande, non ha avuto dubbi a rispondere: imparare a suonare lo strumento.

Ed è scoppiata la rivoluzione dei gemellaggi a chilometro zero. Nella tendopoli di San Felice sul Panaro si aggirano i volontari della porta accanto, giovani che abitano nelle vicinanze delle zone colpite dal terremoto e che hanno deciso di spendere tempo e capacità perché alle macerie delle case, delle chiese, dei municipi, delle imprese non si aggiungano anche quelle della rassegnazione. Tutto parte dall’amicizia tra Cristina Rossi e Valentina Bedin, due insegnanti di Comunione e liberazione. Racconta Cristina: «La mia amica è di Mirandola, dopo il terremoto perde la casa. Ci ritroviamo più vicine ma con un mare di problemi. Poi, seguendo la provocazione lanciata dal nostro grande amico Julián Carrón, la scoperta che ciò che dà senso alla vita è più grande di quello che è venuto giù». Cristina e Valentina si ricordano di avere alcuni dei loro alunni in tendopoli. E li vanno a trovare. «La reazione – prosegue Cristina – è stata di stupore assoluto. Non credevano che in una situazione di dispersione fosse possibile il miracolo di nuovi rapporti. Si é creato un bel giro quasi contagioso. Perché prima conosci i bambini e gli adolescenti, poi entri nelle famiglie: sono loro stessi che ci hanno fatto conoscere mamma e papà».

Loro, i ragazzi, confermano tutto. Yasmin, 17 anni, frequenta l’istituto d’arte: «Dopo il terremoto mi sono sentita sola. Poi è arrivato questo gruppo ed è rinata la speranza. La “prof” ci ha portato in gita e per me è stato come incontrare degli angeli custodi». George, 20 anni, lavora in un autogrill: «Vivere in queste condizioni è molto stressante. Poi ho conosciuto tanti ragazzi e la tendopoli fa un po’ meno paura». Maruane, studente, annuisce. «Ho perso la casa, mi sembrava di avere scritto la parola fine sulla mia vita. Poi sono andato in montagna con questi ragazzi. E oggi ho ricominciato a vivere».

Un giorno, per sfuggire al grande caldo della tendopoli le due “prof” portano il gruppo in gelateria. All’improvviso l’intuizione che la domanda di bellezza è più forte della desolazione. Ecco allora il metodo dei gemellaggi, nel solco dell’appello lanciato da Benedetto XVI, che l’insegnante sintetizza così: «Favorire l’incontro tra i ragazzi ’terremotati’ e quelli delle zone vicine, partendo dalle loro passioni. Uno sprone a non smettere mai di desiderare. Ci siamo dette: se Wendy desidera suonare il violino e tutti intorno si prodigano perché lei possa andare in fondo a questo desiderio, se mai un giorno la Bassa ripartirà, ripartirà da gente così. E così, mettendo a frutto i talenti dei giovani, sono nati laboratori di danza, di musica e altre attività». Valentina, l’altra insegnante, racconta «Tra le macerie tutto sembrava impossibile: la grigliata per il compleanno, la cena di fine anno, un film da vedere insieme. C’era la tentazione di rimandare tutto a non si sa bene quando. Una rassegnazione spezzata dalla decisione di alcuni di spendere le proprie capacità per questi ragazzi.

Una decisione che ai ragazzi ha cambiato la vita». Ed ecco le voci dei protagonisti del gemellaggio, quelli che sono scesi in Bassa. Marta, liceo classico: «Non siamo eroi, ma persone che vogliono condividere. Faccio questa esperienza perché voglio che anche dentro questa circostanza sia possibile ritrovare uno sguardo stupito sulla mia vita». Dice Giorgio,17 anni, liceo classico: «Abbiamo conosciuto tanta gente triste e arrabbiata. Ma non dimenticherò mai la faccia di un ragazzo arrabbiato come gli altri: quando gli abbiamo detto che eravamo lì per lui. All’improvviso si è illuminato». Cecilia, frequenta la terza media, si stupisce di come una visita di pochi minuti ad una ragazza della tendopoli sia ricambiata da un messaggio pieno di “Grazie di cuore!”. E sui laboratori dice: «Lì puoi riconoscere più che in altri luoghi la presenza di quello che tiene in piedi l’esistenza anche quando sono caduti i muri». L’ultima parola spetta di diritto a Wendy, quella del violino. «In sette secondi siamo scesi all’Inferno poi abbiamo incontrato questi amici, loro ci hanno abbracciato e allora siamo saliti in Paradiso».

Stefano Andrini

_____________________
Fonte: Glin di mè amig...


La zona in cui abito dal 20 maggio è 
soggetta a scosse continue di terremoto. Il 20 ci siamo svegliati nel  cuore della notte con una violentissima 
scossa; tutto era in terra, i mobili spostati dal muro, tutto era in movimento. Con le prime luci del giorno abbiamo cominciato a vedere parecchie chiese danneggiate, così pure tutto ciò che è legato alla nostra storia, raso al suolo. Cinquecento anni di storia in polvere in 20 secondi. Abbiamo passato alcuni giorni con varie 
scosse più leggere, abbiamo dormito in macchina, poi piano piano l’attività lavorativa per molti è ricominciata. Martedì 29 è stata una giornata terribile, tutto è iniziato alle 9 con la prima scossa: ero in centro a San Possidonio e in un attimo tutto ha cominciato a muoversi, il campanile è crollato a pochi metri da me, l’asfalto della strada si muoveva in continuazione, i palazzi oscillavano. Le persone intorno piangevano, urlavano … occhi smarriti e disperati ovunque. Il mio primo pensiero è stato di chiedere al buon Dio di rendersi presente e nel frattempo mi risuonavano le parole di Giobbe “Il Signore ha dato, il Signore ha 
tolto, sia benedetto il nome del Signore”. Sono tornata a casa di corsa e ho cominciato la ricerca dei miei familiari dei miei amici più vicini: i telefoni, le strade, tutto era bloccato. Dopo alcune ore ho saputo che stavano tutti bene. La terra ha tremato per parecchie ore di continuo in maniera molto forte, si udivano rumori di crolli intorno e, intanto, arrivavano le prime notizie di persone sotto le macerie.
Che cosa porto nel cuore dopo tutto questo? Prima di tutto una grande pace. Il Signore si è reso presente
subito attraverso una compagnia di amici che non ci ha lasciato soli. Centinaia di messaggi e telefonate (il primo è stato Alberto xxxxx, nel cuore della notte).  Ogni sera sono commossa e grata della vostra vicinanza, segno del Suo abbraccio e mi ritorna alla mente ciò che ci ha richiamato Carrón al Trentennale di  Famiglie per l’accoglienza: “Ti ho amato di un amore eterno e ho avuto pietà  del tuo niente”. C’è chiesta povertà, 
alcuni nostri amici hanno perso la casa o il lavoro, molti di noi non riescono a  rientrare nelle abitazioni o perché sono troppo lesionate o perché è troppa la paura. Con il terremoto io ho perso una casa di campagna: dentro avevo tutti i mobili e gli oggetti personali di 30 anni di vita: i libri, le foto, i vestiti. Per noi è 
evidente che ti puoi alzare nel cuore della notte e non avere più nulla di tutto quello che era tuo. Tutto quello 
che c’è, mi è dato, compresa la mia vita. Che stupore alzarsi con questa coscienza ogni mattina! Il cuore trabocca di gratitudine perché ci sono, perché ci sono i miei cari e ci sono tutti i miei amici. Continuo a essere scelta e amata da Gesù e avverto questa preferenza come la cosa più preziosa per la mia vita.
Ora nella zona in cui abito per un raggio di 30 km, non c’è più una chiesa, sono tutte fortemente danneggiate. Di fronte a questo mi dicevo: ora dobbiamo essere noi a rendere presente Gesù nel mondo. Quel che c’è chiesto ora è di sostenere la speranza, che per tutti sia evidente che il Signore è più forte del terremoto.
Carissimi amici vi ringrazio della vostra vicinanza e delle vostre preghiere, vi chiedo di continuare a pregare perché noi possiamo essere testimoni di Gesù: unica vera Speranza.
Rita

Altre testimonianze su: http://raccontidalterremoto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento