26/09/12

Una vita da mediano. Di Raffaello Vignali ( Vice-presidente della commissione attività produttive della Camera )


Ho alcuni amici deputati. E quando parlo con loro, sono sempre profondamente colpito dalla fatica che fanno all'interno dei cosiddetti "palazzi del potere". L'ultima volta che ho incontrato Raffaello, gli ho chiesto se aveva voglia di scrivere qualcosa sulla sua esperienza personale, in tal senso. 

Davide Boldrin


Quando mi è stato proposto di candidarmi per il Parlamento nel 2008, ho scritto ai miei amici e agli imprenditori dell'associazione di cui ero allora Presidente - la Compagnia delle Opere - dicendo che sarei andato alla Camera dei Deputati a rappresentare quello straordinario mondo delle micro, piccole e medie imprese, che sono realmente la forza del nostro Paese e non solo dal punto di vista economico. E affermavo che intendevo il verbo "rappresentare" non tanto e prima di tutto come "rappresentanza", ma come "rappresentazione": ovvero fare conoscere chi sono i piccoli imprenditori, cosa hanno nella testa, nel cuore, nelle mani e anche nella pancia. Nel corso di una campagna elettorale "strana", con le liste bloccate, ho scelto di girare il territorio del mio collegio elettorale per incontrare soprattutto gli imprenditori, per girare con loro nei capannoni, ascoltare i loro problemi, condividere le loro preoccupazioni. Questo ho continuato a fare anche in questi anni nei giorni della settimana in cui non sono impegnato a Roma. Per me l'attività parlamentare costituiva un nuovo lavoro, del quale conoscevo i termini generali, ma non sapevo cosa volesse dire in concreto. Ho pensato allora di chiedere un consiglio a un amico, che è stato parlamentare per diciassette anni, molti dei quali passati al Governo come sottosegretario all'industria. Mi disse più o meno queste cose. I cittadini del Parlamento vedono solo in TV quello che succede in Aula. In realtà, il lavoro parlamentare vero viene svolto nelle commissioni, anche se è un lavoro oscuro, che i più non vedono e di cui giornali e TV non parlano mai. Alla mia richiesta di un esempio della sua esperienza che mi facesse comprendere cosa significava questo, mi raccontò che quando era parlamentare ci fu una crisi degli zuccherifici e che vennero salvati per un decimale di un certo coefficiente (per capirci, uno 0,01%). Mi disse: "Vedi, da un decimale a volte dipendono la sopravvivenza di tante imprese e il lavoro di migliaia di famiglie: bisogna lavorare fino a questo livello di dettaglio". Infine, mi disse di cercare di capire chi, nelle altre commissioni (successivamente sarei stato eletto vicepresidente della Commissione Attività produttive), lavorava sul serio, perché molte volte i provvedimenti sulle imprese passano da commissioni (bilancio, finanze, ambiente, lavoro, politiche europee) che non sono la tua e quindi serve avere collegamenti con esse. Ho seguito il suo consiglio alla lettera, e non me ne pento. Quando un provvedimento arriva in Aula, infatti, è quasi concluso: è difficile modificarlo con gli emendamenti. Spesso si utilizzano gli interventi in Aula non tanto per convincere della necessità o dell'opportunità di una certa modifica al testo in esame, quanto – purtroppo - per fare politica politicante, magari per conquistare un titolo sui giornali. Anche la carta stampata e le televisioni, poi, non raccontano i provvedimenti, ma preferiscono dedicarsi al teatrino della politica, quello che alimenta l'antipolitica e convince i cittadini che i parlamentari non fanno nulla e che il Parlamento è inutile. In commissione accade l'inverso: si studiano i provvedimenti, si discute, si cerca di convincere gli altri. È vero anche che in alcune commissioni è più alto lo scontro ideologico - ad esempio nella commissione lavoro pubblico e privato -, ma nella mia discutiamo senza pregiudizi. Non vuol dire che non vi siano posizioni differenti o che non si parli appassionatamente, ma prevalgono altri fattori. Dopo qualche settimana di lavoro insieme - le commissioni si riuniscono di norma almeno tre volte alla settimana -, è subito chiaro se chi interviene è competente e su che cosa, se presentando un emendamento cerca di migliorare le condizioni per tutti o se difende l'interesse (magari legittimo) di qualcuno. E questo indipendentemente dai partiti di appartenenza. Nella mia commissione non abbiamo mai bocciato un emendamento dell'opposizione che fosse giusto o utile. Tante volte abbiamo riscritto in diretta e insieme i testi. Un simile atteggiamento di lavoro e di apertura ha spesso permesso in questi anni di fare fronte comune per portare il Governo a cambiare parere. In questi giorni sono andato all'inaugurazione di un nuovo stabilimento di un'impresa multinazionale che aveva deciso di fare una linea di prodotti in Italia, ma che stava subendo un’ingiustizia evidente a causa di una norma poco chiara. L'azienda mi aveva detto che se non fosse stato risolto il problema sarebbero andati a produrre altrove, licenziando i dipendenti diretti e mettendo in difficoltà le numerose imprese dell'indotto. Nel recente Decreto Sviluppo ho fatto cancellare, con un emendamento in commissione, una norma sbagliata che impediva certe produzioni in Italia regalando di fatto circa 150 milioni di fatturato a imprese tedesche, francesi e inglesi e che ci avrebbe fatto perdere oltre 250 posti di lavoro: ci stavo lavorando da quando sono in Parlamento. Potrei raccontare tantissimi fatti come questo.
Mi limito a dare conto di una legge, la 180/2011, lo Statuto delle imprese, che ho proposto e che è stata approvata all'unanimità (nessun contrario e nessun astenuto). Abbiamo lavorato in commissione per molti mesi, abbiamo discusso parola per parola, abbiamo "convinto" il Ministero dell'Economia che la stava bloccando. L'abbiamo approvata definitivamente in Aula il 3 novembre 2011. In quei giorni il clima era rovente (Berlusconi si sarebbe dimesso pochi giorni dopo) e l'opposizione aveva deciso di fare ostruzionismo su tutto. I miei colleghi di commissione dell'opposizione hanno chiesto ai loro capigruppo di non fare ostruzionismo sullo Statuto, dicendo che un provvedimento utile per le imprese valeva di più dell'ostruzionismo politico. E così è stato approvato. I giornali ne hanno parlato pochissimo. Quelli che lo hanno fatto ne hanno parlato nelle pagine dell'economia, non in quelle della politica (come se la politica non fosse quella che tenta di risolvere i problemi delle famiglie e delle imprese, ma quella che "urla"). Alcuni mi hanno detto: "Voi andate d'accordo, non fate notizia".
È vero, fare il lavoro parlamentare può non fare notizia, ma è il lavoro politico che serve di più. Fare il lavoro parlamentare è un po' fare "una vita da mediano", non si vince "il pallone d'oro", ma è quello che serve di più a non prendere gol e, se possibile, a costruire il gioco d'attacco. Se la politica ha come fine il bene comune e non altro, per chi sta in Parlamento è il ruolo più affascinante. Anche perché non è possibile farlo sul serio se non si calpestano le strade, se non si ascolta e, ultimamente, se non si vuole bene alle persone.

Raffaello Vignali





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