Fonte: http://www.carpi.chiesacattolica.it/carpi/s2magazine/index1.jsp?idPagina=321
Ecco un anno è
passato. Il 20 maggio la prima forte scossa, il 29 maggio, quando già
l’intraprendenza dei più aveva alimentato lo slancio di una
immediata ripresa, il giorno terribile che ha seminato lutto e
disperazione. Per alcuni la vita si è spenta, per tanti ne è
iniziata un’altra fatta di mobilità, di precarietà, di convivenze
forzate all’interno dei campi o nella ricomposizione di più nuclei
familiari. Quello dell’emergenza è stato il tempo degli slanci
generosi, degli aiuti piovuti da ogni parte, della mobilitazione
nazionale con collette, concerti, manifestazioni sportive e tutto
quello che la fantasia della solidarietà ha saputo generare nella
coscienza di un popolo ancora tanto sensibile nonostante la crisi
diffusa. Una scia di bene che fortunatamente non si è interrotta ma
continua attraverso i mille rivoli dei rapporti che la tragedia ha
allacciato. Poi è iniziata la fase più critica che ha coinciso con
l’inverno, i disagi si sono amplificati e la presa d’atto della
realtà ha cominciato a fare i conti con l’implacabile macchina
della burocrazia, delle delibere e di tutti quegli strumenti che nei
propositi iniziali avrebbero dovuto facilitare la ripresa ma che,
insieme al balletto delle cifre dei rimborsi, di fatto l’hanno resa
ad oggi un miraggio. Sì le scuole hanno riaperto, gli ospedali hanno
ripreso a funzionare secondo un piano graduale di ripristino delle
attività, la macchina pubblica è stata efficiente e generosa per se
stessa, attingendo a man bassa dalla generosità della gente, ma per
il resto... Le aziende che hanno accettato la sfida si sono attivate
inizialmente con risorse proprie, altre hanno rinunciato in partenza
complice l’incertezza sulle effettive risorse su cui contare e un
contesto di mercato già competitivo che non ammette passi falsi. Nei
paesi più colpiti si è ancora nella fase delle demolizioni degli
edifici privati, di cantieri per la ricostruzione nemmeno l’ombra.
Tecnici e periti ingaggiati dai privati cittadini sono al lavoro da
mesi, hanno prodotto studi, progetti, preventivi in ottemperanza agli
innumerevoli quesiti delle delibere commissariali ma ad oggi le
pratiche approvate in tutta l’area del cratere pare non superino il
centinaio. C’è un blocco a livello degli uffici tecnici comunali
dove pochi operatori sono alle prese con centinaia di pratiche da
valutare in coerenza con tutti i parametri imposti dalle delibere e
sempre in coerenza con i farraginosi regolamenti comunali. Cresce
l’esasperazione tra i cittadini che chiedono di potere avviare i
cantieri. E’ una pena vedere gente così desiderosa di fare e di
ricostruire bloccata dalla burocrazia, dalle complicazioni delle
procedure.
Accanto e dentro a
questo popolo c’è la Chiesa, il Vescovo con i suoi sacerdoti, con
le chiese e le canoniche abbattute o inagibili, spogliata in alcuni
casi di ogni memoria della sua storia secolare. E’ stato un anno
dove le celebrazioni delle domeniche e delle feste solenni sono state
ospitate nei più disparati luoghi di fortuna tendoni,
tensostrutture, cinema, saloni, fabbriche dismesse… Una precarietà
di proporzioni mai sperimentate prima d’ora dalla comunità
cristiana. Un percorso di purificazione, di ricerca dell’essenziale,
di verifica della tenuta della fede stessa e di tutto l’impianto
organizzativo e pastorale della Diocesi. Rileggere dopo un anno il
discorso pronunciato da Benedetto XVI a Rovereto è di grande
consolazione perché l’invito del Papa è stato accolto e messo in
pratica: “su questa roccia, Cristo, con questa ferma speranza, si
può costruire, si può ricostruire”. Come ha intuito fin
dall’inizio monsignor Cavina la paura del terremoto e delle sue
drammatiche conseguenze si supera con l’atteggiamento umile verso
il Padre che anche a noi dice “Ritornate a me con tutto il cuore”.
Così è stato seppur dentro i mille conflitti, tensioni e
incomprensioni che una catastrofe di tali dimensioni inevitabilmente
ha prodotto anche nel cuore di una comunità chiamata a testimoniare
per prima il perdono, la condivisone e l’amore reciproco. Le prime
strutture che prendono forma e vita sono come lo spiraglio di sole
dopo la burrasca, si stanno moltiplicando così come i primi cantieri
per canoniche e oratori. Tutto bene ma non è dalle pietre che sgorga
la speranza ma piuttosto nel ritrovarsi ogni domenica attorno
all’eucaristia, nel celebrare battesimi, prime comunioni o cresime,
gesti di fede vissuti con fedeltà ammirevole alla propria comunità
e alla propria terra tanto che anche una tenda può rivelarsi bella
come una cattedrale. Allora buon compleanno terremoto, inatteso
compagno di viaggio di questo frammento della nostra storia.
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