Fonte: http://www.tempi.it/cambiamo-la-costituzione-vecchia-come-il-cucco-scomponiamo-e-ricomponiamo-litalia#.U0KMzah_sqM
Aprile 6, 2014 Luigi Amicone
Si può ripartire da un patto federativo che abolisca
lo scempio di uno Stato centralista fallito e faccia rinascere il paese in
forma e sostanza di autonomia e di responsabilità
Forse gli italiani cominciano a percepire che
sono stati vittime di una gigantesca truffa. La truffa dell’eliminazione della
politica per via giudiziaria. Truffa realizzata con begli argomenti – “mani
pulite” e “fare pulizia” – e nessuna idea concreta, pratica, produttiva, utile
a mandare avanti il Paese. Nella nostra italica Stangata non c’è nessun Paul
Newman. Ci sono solo magistrati e giornalisti senza volto.
Si erano forse accorti, costoro, che per
quarant’anni l’Italia era cresciuta, ed era comunque andata avanti, sempre
avanti, mai indietro, nonostante gli “anni di piombo” e la presenza in Italia
del più grande partito comunista d’Occidente? Certo, l’Italia era cresciuta
all’ombra del suo debito pubblico. Ma pure col suo debito pubblico, non oggi,
ma ieri, nei tanto disprezzati anni di Prima Repubblica, avvenne che l’Italia
conquistò il posto di quinta potenza industriale mondiale (1983-1986, governo
Craxi).
In questi ultimi vent’anni non abbiamo
soltanto perso il quinto posto industriale sulla scena mondiale. Abbiamo perso
posti di lavoro. E dalla scorsa settimana, ce lo ha comunicato il Fondo
Monetario Internazionale, cresciamo meno
della Grecia e
siamo ufficialmente buoni ultimi dietro un paese che probabilmente tra
vent’anni sarà la periferia di Istanbul.
Adesso i grandi giornali, collaborando a pompare
una ridicola campagna
di arresti, lanciano avvertimenti e grida di scandalo
contro lo strisciante sentimento secessionista. Che non c’è solo in Veneto. Ma
in ogni parte d’Italia. Con sardi che chiedono
l’annessione alla Svizzera. Siciliani che l’autonomia la
frequentano dall’immediato dopoguerra. Regioni (Calabria) che vivono beatamente
fuori dall’Italia, all’insegna dell’economia sommersa. E alpigiani del nord che
non sanno neanche dove stia di casa Roma e commerciano più con la Francia, la
Svizzera, l’Austria e la Slovenia, che in lingua italiana.
Chi non ha capito che lo Stato italiano è
fuori controllo ed è in crisi dalle fondamenta? Chi non si avvede che dietro la
retorica dei grandi giornali non vi è altro che un buon vecchio presidente
della Repubblica?
D’accordo, finché possono usare i
Carabinieri e gli Zagrebelsky, diciamo che la sensazione di poter tenere a
galla la zattera rimane forte (di cosa parlano infatti i giornali? Avete notato
come del resto sono gonfi di esotismi e di spot, di enogastronomia e di
viaggi?). E poi sì, in effetti c’è Renzi. Uno che al momento lo lasciano fare.
Nel grosso-grasso-caos italiano un po’ di speranziella bisognerà pur
coltivarla. Il problema è: quel “partito Stato” di cui Renzi resta comunque
espressione, cosa gli permetterà di fare? O non avete sentito i tromboni della
Costituzione che già gridano alla “svolta autoritaria”?
Perbacco. Non a caso ai tromboni si è
subito unito Grillo. L’utile antidoto al cambiamento. Il farmacista
dell’antipolitica. Da dove riparte ogni paese che si rimette in sesto e
riprende a macinare crescita? Dall’antipolitica dei fortissimi scassatutto o
semplicemente dalla politica fortissima? Pensate a cos’è stata e cos’è la
Merkel in Germania. Obama negli Stati Uniti. Pensate a cosa sono stati in
questi vent’anni in cui l’Italia annegava nella pozzanghera
mediatico-giudiziaria (che pasceva i Di Pietro, le Gabanelli e i Santoro) un
Blair in Gran Bretagna o un Lula in Brasile.
Sono forse stati buoni e onesti quelli che hanno
fatto supplenza alla politica in questi vent’anni? Né l’una né l’altra. Anche
se per la maggior parte di loro vale l’attenuante del cavallo che ingrassa
sotto l’occhio del padrone o della corda dell’asino attaccata dove vuole il
padrone. Il risultato della supplenza condita alla crisi economica scoppiata
nel 2008 (il risultato dell’assenza della politica mixato all’impossibilità di
muovere un passo fuori dalla crisi senza un governo fortemente politico) è
questo nostro stare in Europa da zimbelli. Oggetto dei sorrisini e delle
battutine dei maestrini di tutta Europa. E ostaggi di una quantità di
disoccupati (oltre il 13 per cento) che non ricordavamo da anni.
Mai stati così a pezzi. Prova ne sia lo
shopping che lo straniero sta facendo di aziende, patrimoni e asset strategici
italiani (sempre grazie allo zelo di uomini senza volto che indagano e
sputtanano ogni cosa si muova e sopravviva in patria). Cacciano le nostre
ultime grandi aziende dal mercato internazionale. E lassù, nei cieli d’Europa,
commissari e banchieri ci aiutano soltanto a ristrutturare il nostro debito. È
per questo che Renzi fa molta e positiva “impressione” agli euro-atlantici
(volete che il Caimano 1, quello doc, non desse molto fastidio al fiscal
compact, alla austerità tedesca e, considerato il feeling con Putin, agli
interessi americani in Europa?).
Insomma, il danno al patrimonio e alla
sovranità nazionale è stato fatto. Ed è enorme. Vent’anni e più. Eravamo, ancora
nel 1991. E sebbene il compagno George Soros l’anno successivo comincerà a
dedicarsi alla speculazione contro la nostra lira e il compagno Romano Prodi a
intraprendere il cammino verso un’Italia spogliata (le prime privatizzazioni in
salsa Telecom, una certa versione dell’euro e della retorica europeista),
figuratevi cos’era ancora l’Italia del ’91: era ancora un paese che per Pil,
qualità della vita, risparmio delle famiglie, rimaneva ben al di sopra della
media europea.
Cito testuale da Repubblica del 16 maggio 1991: «Il giorno dopo
essere stata inserita nell’elenco dei sorvegliati speciali della Cee per
l’entità del suo deficit pubblico, l’Italia scopre di essere diventata la
quarta potenza industriale del mondo, davanti alla Francia e alla nemica
storica Gran Bretagna. E lo scopre a sorpresa, grazie ad un rapporto messo a
punto dalla società Business International, al termine di una giornata durante
la quale l’Ansa, citando fonti della Commissione di Bruxelles, l’aveva già
insediata al quinto posto per il 1991». Quante ere sono trascorse dal 1991?
Quarti o quinti che fossimo, non eravamo certo il fanalino di coda del fanalino
greco.
Cosa è successo da allora lo sappiamo. La
pantomina che ci ha inchiodato alla morte in nome della Giustizia. Il sacco del
Nord (denunciato dal compagno Luca Ricolfi). La scomparsa del Sud (sempre
Ricolfi). Infine l’assedio e golpe del 2011 (parola del recentissimo libro
dell’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti). Il compiersi della caccia
grossa, ventennale, all’intrepido e folle Silvio Berlusconi.
L’arcitaliano, il Pregiudicato, odiato da tutti i poteri dello Stato italiano.
E non solo italiano, of course.
Rivedremo le stelle? Forse no. O almeno
non a breve. Perciò, potrebbe perfino succedere che gli ultimi sgangherati
poterazzi, nazionali e internazionali (quelli ad esempio che hanno scassato
l’Ucraina e adesso il conto arriva agli europei), questa volta non riescano
proprio a fermare un processo di possibile scomposizione e ricomposizione
dell’Italia su altre basi (l’ha anche detto Grillo e su questo ha ragione da
vendere: vi immaginate l’Italia del balletto delle “coperture” di uno o due
miliardi per l’Imu o per gli 80 euro in busta paga, versare 50 miliardi fissi
l’anno, per vent’anni, a cominciare dal 2015, per portare il debito al 60 per
cento del Pil?).
Qualcosa deve pur succedere. E succederà.
Finirà la Costituzione e pure lo Stato modello ’48? E al patto De
Gasperi-Togliatti, Usa-Urss, si sostituirà il negoziato e l’accordo pattizio di
leader e corpi politici che emergeranno nelle diverse aree del territorio
euro-italiano? Chi lo sa.
Nessun commento:
Posta un commento