04/11/17

Chi non cambia, beh, è destinato ad essere cambiato. Ovvio.

Ci sono, ci sono. E' che scrivo poco perché ho un po' voglia di farmi i miei. E quindi quale attacco politico questa volta ? Quale frecciata con " Chi non cambia, beh, è destinato ad essere cambiato. Ovvio. " ?

Niente di tutto ciò, stavolta.

Si tratta di lavoro. Passaggio che personalmente avrei già fatto da anni. Si sa che io sono " strano ". E mi piace esserlo, strano. Non amo la CGIL che con il suo " muso duro " non ha fatto altro che favorire le nuove forme di sfruttamento, e neppure chi giudica chi cambia, come fosse una debolezza invece di un mettersi in gioco continuamente per crescere, e magari guadagnare di più.

Come se il problema fosse " il posto ", non " IL LAVORO ". Che sono due cose ben diverse.

E riporto un articolo di uno che non mi è propriamente simpatico, ma stavolta beh, ha colto. E mi è piaciuto assai. Per questo lo riporto.

Il test è: Se l'articolo ti pare poco realista, dopo averlo letto, preparati, perché presto o tardi sarai cambiato. Con le buone o con le cattive. Io lo so per esperienza personale. Ad oggi però, ci ho sempre guadagnato. Cosi è la vita.

Davide Boldrin





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Le professioni si trasformano: chi non cambia è destinato a essere cambiato

Di Beppe Severgnini

È giusto – anzi, sacrosanto – difendere i posti di lavoro. Ma è illusorio pensare che i lavori rimangano gli stessi. Guardatevi intorno: non esiste un mestiere che non si stia trasformando

Guardate le vetrine in questi giorni. Halloween è diventato una stagione estetica. Continuo a pensare che la giornata dei Defunti (oggi, 2 novembre) avesse la stessa forza esorcizzante – nel cremasco mangiamo biscotti chiamati “le ossa dei morti” – e un ben diverso senso familiare, morale e religioso. Comunque sia, Halloween s’è imposto. Una festa celtica, esportata negli Usa e reimportata in Europa. Tipico: siamo bravissimi a ricomprare quello che era già nostro.
Guardate i negozi, dicevo. Non sono solo la prova di un cambiamento nelle tradizioni; dimostrano quanto stiano mutando le funzioni e le professioni. Le composizioni colorate – zucche e streghe, crisantemi e mostri, gerbere e fantasmi – vengono realizzate dai fioristi, pronti a occupare il nuovo mercato. Non solo spasimanti, matrimoni e funerali: anche commercianti e negozianti. I fioristi non sono gli unici capaci di reinventarsi: basta guardarsi intorno.

L’ho fatto anch’io, e non ho dovuto guardare lontano. Mio figlio Antonio, 25 anni, come molti giovani imprenditori agricoli, sta rendendo accogliente la campagna lombarda, utilizzando verde e acqua (mai visti tre quintali di lucci tuffarsi in un lago?). Mio nipote Carlo, 28 anni, dopo aver studiato in Olanda, conduce un orto comunitario a Rovereto (Trento), coinvolgendo anche migranti in attesa della decisione sulla richiesta d’asilo. Ha installato anche un Hotel per Insetti: “Se gli forniamo un tetto, quelli ci danno in cambio i loro servizi: impollinazione, predazione e parassitismo di insetti nocivi”. Mia nipote Eleonora, 30 anni, ha preso un negozio di frutta e verdura a Roma e, con il fidanzato, l’ha trasformato in un posto per colazioni, pranzi veloci, estratti e succhi: la coda, in certi orari, arriva nella piazza.
È giusto – anzi, sacrosanto – difendere i posti di lavoro. Ma è illusorio pensare che i lavori rimangano gli stessi. Pensate come sono cambiati gli asili: da depositi di bambini a luoghi d’insegnamento, dove giovani donne (e qualche uomo) mettono entusiasmo e competenza (il mio amato Montessori l’ha sempre fatto). Pensate quanto poco, invece, sono cambiati i notai (altra professione di famiglia). Hanno adottato la tecnologia, certo, ma non sono riusciti a trasformarsi in affidabili consulenti patrimoniali. Così la professione è appesa alla volontà del legislatore di turno.
Chi non cambia è destinato a essere cambiato. O a scomparire.
È difficile immaginare un mestiere che sia rimasto immutato. Ecco perché ho scritto su 7, due settimane fa, che noi giornalisti dobbiamo reinventarci. Non vuol dire dimenticare le cose che sappiamo (e dobbiamo) fare: capire cos’è una notizia e un fenomeno, dar loro il giusto peso, spiegarli e raccontarli. Occorrono nuove abilità (skills, in milanese moderno). Organizzare il lavoro, scrivere breve, scrivere lungo, scrivere in un’altra lingua, stare in video (e fare video), parlare in radio, condurre un evento, usare i social in modo professionale. Quindi carta e schermo, palco e redazione, studio tv e giornate di studio (The Economist ne organizza e guadagna parecchio).
Tutto questo non ci assicura la sopravvivenza professionale. Ma la rende più probabile.

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